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Dal 25 settembre al 8 novembre 2015

Udine, Chiesa di San Francesco

La natura selvaggia di Gianni Borta


Osserva Licio Damiani: “nel periodo iniziale la trama figurativa appariva ancora fortemente definita. Fissava paesaggi e figure nei loro tratti importanti nelle loro strutture essenziali commentate dalla vivacita’ ardente dei colori: grovigli organici come cespi di fiori, spoglie tramature d’alberi, le gemme arancione dei cachi, ruote e carri di fieno, le donne nei cortili, la serie dei porticcioli in cui dentro c’era tutto il profumo del mare”. Per Carlo Sgorlon: “Borta ebbe la sensazione di ritrovare il suo sacro Graal quando scoprì pittoricamente ilpapavero. Il fiore, con il suo rosso sanguigno (il rosso della vita e dell’emozione allo stato puro) dilagò nelle sue tele. Per Borta la natura è Dio, o il volto visibile di Dio, celato dietro la sua creazione. Ogni scoperta ed ogni tappa di Borta avviene nel segno di un entusiasmo di tipo orfico e sacrale. Ma l’intenzione era di uscire dal dato naturalistico immediato ed anche poco incline a fare concessioni alla cultura folcloristica e tradizionale. Borta venne pian piano ripulendo e liberando le sue tele di ogni risonanza friulana e locale. In quell’epoca prese a frequentare le gallerie della Rive Gauche della Senna, di Saint Germain e di Montmartre, sotto i cieli mutevoli, ora azzurri ora piovosi, di Parigi. Frequentò Schwabing, il quartiere degli artisti di Monaco di Baviera. Si aggiro’ per la City di Londra, percorse a New York le strade di SoHo. Man mano che si liberava dalla scorza friulana, Borta entrava più profondamente nel solco dell’arte europea aderendo al filone astratto-naturalistico”. Una corrente di tendenza neo-surrealistica legata alla natura gia’ diffusa in Europa e vagheggiata in Italia soprattutto per merito di un critico di vasto seguto come Francesco Arcangeli. Infatti il critico veneziano Paolo Rizzi lo definisce a buon diritto un “nuovo naturalista” il movimento di recupero dei fatti naturali per instaurare un rapporto nuovo con la natura che andasse al di la’ del colore.luce degli impressionisti. La natura restava comunque il dato di partenza : non una natura di fondo drammatico,come nella pittura del nord, ma una natura solare,gioiosa,di irruente forza panica. Stimolante l’intensa frequentazione nei laboratori di ricerca, nei Paesi della ex-Jugoslavia ma anche con lunghi soggiorni in Francia, Spagna e Olanda invitato spesso come unico italiano.
L’intensa attivita’ espositiva degli anni ‘90 in Germania, lo ha reso protagonista alle grandi rassegne sui rapporti tra arte italiana e arte tedesca del XX secolo. Le continue mostre a Parigi alla Galerie Breheret nel cuore di Saint Germain des Prés, ma anche in Inghilterra, Spagna, Svizzera e l’esperienza fatta a New York dove aveva conosciuto il famoso gallerista triestino Leo Castelli, l’ha particolarmente arrichito e ampliato i motivi di ispirazione. “ La pittura di Gianni Borta - ha osservato Paolo Maurensig – folgora come un flash“.

Le opere recenti sono ispirate ai viaggi. Alla ricerca di una storia, di un nuovo colore, di fiori perduti che rappresentano la nazione del Paese visitato. Il mese trascorso in Argentina, tra mostre e avventurosi raid in jeep da Buenos Aires alla Terra del fuoco attraverso la famigerata “Ruta 3“ il camino de tierra dal mito del tango narrato da Louis Borges alle vampate rosse del Mata fuego, fiore della sconfinata e arida Patagonia. Sul pianeta Cina, a Shianghai e Pechino, alla ricerca della peonia moutan la rosa senza spine, il fiore nazionale. E così in India a scoprire il fior di loto che ha dato il nome alla città sacra di Pushkar. Poi l’immersione nel nero profondo del fiore della Giordania: il black iris nel deserto rosso del Wadi Rum alle soglie della antica citta’ di Petra. E ancora a cercare la protea il fiore del fuoco simbolo del Sudafrica, fino allo splendore del Myanmar (un tempo Birmania) la terra dorata, carica di esotismo in una sorte di incantesimo che non ti lascia piu’. Tra tramonti infuocati in cui Borta ruba i colori, là c’è un fiore sconosciuto, il Paduak, detto il simbolo dell’amore. E ancora l’orchidea di Vanda miss Joaquin il fiore nazionale di Singapore. In Vietnam a dipingere tra i fiori del Delta del Mekong, un tempo teatro di guerra, orrori e bombe al napal portatori di distruzione e morte; oggi sorgono immensi campi di loto. E poi a cogliere con i colori i profumi della rosa di Daldès nella catena dell’Alto Atlante in Marocco. Infine alla ricerca del papavero Poppy, il fiore della California, in un itinerario nel West americano tra i canyon e le fonti sacre della natura.."

I molti viaggi hanno arricchito e reso sempre piu’ maturo, se non il repertorio espressionista astratto -che si mantiene inalterato- certamente il linguaggio sempre piu’ attento profondamente agli umori della contemporaneita’.