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Dal 7 ottobre 2009 al 31 gennaio 2010

Roma, Palazzo Venezia

Il Potere e la Grazia. I Santi Patroni d'Europa


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La mostra che racconta la storia dell’Europa a partire dalla storia dei suoi Santi nonché dei patroni dei suoi Stati e dei suoi Popoli, costituisce un invito a ricordare e a pensare all’incontro e allo scontro fra potere e religione.

Le genti del Vecchio Continente sono depositarie di conoscenze, principi, valori, istituzioni, leggi, tesori d’arte, narrazioni, riti e simboli che sono il patrimonio lasciato dal passaggio di donne e uomini santi, discepoli di Cristo e cercatori della giustizia, della bellezza, della verità. Le radici cristiane della civiltà europea emergono con evidenza inoppugnabile a una ricognizione storica, prima che in un dibattito filosofico e politico, di tutto ciò l’arte è documento eloquente e affascinante.

La mostra, che ha visto l'intervento della Fondazione Crup, invita inoltre a pensare, a volgere lo sguardo verso il futuro dell’Europa e verso il futuro del cristianesimo. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, non pochi pensatori teorizzarono il tramonto della rilevanza sociale e politica della religione, in particolare di quella cristiana. Il cristianesimo al contrario è ancora capace di offrire un apporto significativo al progresso delle civiltà occidentali.

Quello che s’intravede in filigrana seguendo il percorso della mostra è che le radici dell’Europa sono radici cristiane, così forti da caratterizzare la società, i costumi, il territorio come testimonia il carattere delle sue opere. E’ soprattutto la renovatio medievale a dare il segno dei tempi, fondata su una favorevole congiuntura economica e sociale e da una nuova sensibilità religiosa che sfocerà nella riforma gregoriana. Da qui si ridisegna l’Europa e si formano quelle che conosciamo come lingue moderne, è questo il momento delle grandi cattedrali cui si riconoscono caratteri inusitatamente comuni; è allora che tutto pare trovare un assetto che tende a stabilizzarsi e a rimanere tale nei secoli successivi, anche riguardo all’organizzazione del territorio, dopo la fase preromana e quella della romanizzazione anche il quadro toponomastico si struttura in maniera pressoché stabile. La società civile nel suo insieme va in cerca di nuovi orizzonti. Quello che salta agli occhi è la spregiudicatezza delle soluzioni sperimentate che danno il senso di un movimento delle origini. Si assiste all’uso disinvolto di tutto ciò che è disponibile dell’antico e del moderno, con un atteggiamento assolutamente privo di remore formali. Non sempre le innovazioni furono unanimemente condivise, alcuni contemporanei, come il monaco Bertrando di Clairvaux si lamenta dell’esuberanza di alcune espressioni artistiche e si domanda la funzione di quella “bellezza per così dire deforme e quella bella deformità?” - presente in tutte le chiese medievali d’Europa - in un passaggio dell’Apologia ad Guillelmum (1125). E’ la stessa Europa di cui parla il monaco cluniacense Raoul Glabre al volgere dell’anno Mille quando per comprendere la strada del futuro ricorda che bisogna guardare alle grandi personalità del passato, ai testimoni di fede “perché per mezzo di loro il racconto stesso venga illuminato e acquisti certezza”.