Patrimonio Culturale
Patrimonio Artistico
Santo diacono
Autore: ambito friulano
Tipologia: Statua
Tecnica: legno/intaglio/pittura/doratura
Dimensioni: cm 87 x 25 x 23
Periodo: 1490 - 1499
Questo Santo diacono, acquistato dalla Fondazione Crup nel 2007 e depositato in comodato presso il Museo diocesano e Gallerie del Tiepolo di Udine, ha una storia complicata e singolare. Apparteneva infatti in origine ad un altare ligneo a tre fornici esistente nella chiesa di S. Giovanni di Gerusalemme, allora compresa tra gli edifici che in antico formavano l’Ospizio dei Templari in S. Tomaso di Majano. Nel 1929 le due statue laterali, raffiguranti San Girolamo e un Santo diacono furono oggetto di un clamoroso furto di cui rimane memoria nella dettagliata cronaca pubblicata comparsa sul bollettino parrocchiale dell’agosto 1929: “Erano le 5 del mattino del giorno 8 agosto, quando arriva in Canonica il fanciullo Guglielmo di Olivo Taboga ad avvertire il Parroco che: “I ladri avevano rubato a S. Giovanni”. Il parroco, che già si avviava verso S.Giorgio, dove in quel giorno doveva celebrare la Messa, lasciò tutto e corse sul luogo del furto e presa visione di tutto, mandò di corsa ad avvertire i Carabinieri. Poco dopo giungeva il Brigadiere sig. Donati Landi per le constatazioni e le prime indagini. Due giorni dopo furono sul posto due agenti della Questura di Udine ed ecco come fu ricostruito il fatto: “Siccome i cani del Taboga (Cjandus) e di Piuzzi Leonardo abbaiarono forte quasi tutta la notte, i ladri, dalla solitudine della Mason (Casa della commenda) sarebbero passati nel recinto del cimitero, dove tentarono di forzare la porta laterale che guardava a mezzodì: ma trovata difficile questa operazione, per la grossa stanga che chiude quella porta, scavalcarono il muro del Cimitero e la rete metallica di Culotta Pietro e di là passarono dietro il coro, dove, tolta la rete metallica e piegata una spranga di ferro, rotte le due lastre, aprirono la finestra e di là si calarono nella chiesa: accesa una candela aprirono la porta meggiore, per dove se ne andarono con le statue. Rimase sull’altare la chiesetta in miniatura ed il bastone pastorale che un Santo teneva fra le mani. Il sacrilegio fatto ha suscitato l’indignazione generale”. L’indagine prontamente svolta dai carabinieri non portò ad alcun esito, il parroco denunciò il furto alla Soprintendenza alle Gallerie e Monumenti di Trieste, ma le due statue non furono più trovate.Mentre del S. Girolamo si è persa ogni traccia, la statua raffigurante il Santo diacono, è stata di recente rinvenuta da un antiquario fiorentino sul mercato statunitense, dov’era indicata come opera di scuola italiana del XV secolo. Riconosciuta la sua provenienza, è stata acquistata come detto dalla Fondazione Crup. La vicenda artistica relativa alla nostra statua non può prescindere da quella che interessa l’intero altare che la conteneva. Il quale, come si evince dal regesto di un documento (Udine, Archivio Patriarcale, schede Vale) venne eseguito per la chiesa dedicata a S. Tomaso; nel 1564 fu da questa ceduto, non si sa per quale motivo, alla vicina chiesa di S. Giovanni Battista della Commenda, dove per alcuni secoli rimase addossato alla parete di fondo, a sinistra. Depauperato di due statue nel 1929, subì le conseguenze del terremoto che nel maggio del 1976 colpì l’intero Friuli e fece crollare parte della chiesa con danni gravissimi alle opere d’arte in essa contenute, soprattutto agli altari lignei, ridotti in pezzi. In seguito quanto poté essere salvato venne ricoverato dapprima presso la chiesa di S. Francesco a Udine, poi nel Museo diocesano dove oggi, dopo un accurato restauro, sono esposte al pubblico le singole statue, e cioè la Madonna con Bambino, l’Arcangelo Gabriele, la Vergine annunciata e due piccoli angeli musicanti. E’ collocata invece nei depositi del Museo la struttura architettonica, smembrata, in attesa di un completo restauro che la restituisca alla condizione d’origine quale appare in un cliché fotografico degli anni Venti.L’altare, detto della Madonna per distinguerlo dagli altri due altari lignei della chiesa di S. Giovanni, e cioè l’altare centrale (di San Giovanni) e quello laterale di destra (della Pietà, o “del Comune”), ha una struttura che non trova riscontri in altre opere presenti in Friuli: è spartito in tre scomparti da quattro piastrini con i centrali che al sommo sostengono due minuscole statue di angeli. In origine era probabilmente chiuso da portelle (come un flügelaltar) con tre statue nel cosiddetto scrigno: al centro la Madonna con Bambino, ai lati, S. Girolamo, erroneamente indicato da alcuni studiosi come S. Nicolò) e il Santo diacono (da identificarsi con Stefano o forse Lorenzo, anche se, considerata l’intitolazione della chiesa per la quale l’altare era stato eseguito, potrebbe trattarsi di S. Tommaso). La parte alta delle nicchie presenta una struttura pensile a baldacchino intagliata a traforo con motivi fitomorfi intrecciati. Sopra la trabeazione, arricchita da motivi decorativi di tipologia lombardesca, sono poste due nicchie cuspidate contenenti le statue dell’Angelo Annunciante e della Madonna Annunciata. Al centro, una nicchia con la statua del Redentore. Considerato opera di “gusto veneziano” da Bragato e De Gasperi, fu ritenuto da Marchetti e Nicoletti, per quanto riguarda almeno l’architettura, di ispirazione atesina. Giudizio in seguito ripreso da tutti gli studiosi. Lo schema architettonico pare in effetti richiamare al mondo tedesco in genere, dove non sono insoliti altari con coronamento a baldacchino, e ad altari tirolesi in specie, ad esempio quello della chiesa di S. Maria a Madonna di Campiglio, del 1468 (cfr. Imago lignea, Trento 1989, scheda 12, pp. 104-105), anche se nell’opera di S. Tomaso si coglie una sorta di appesantimento dovuto sia alla qualità dell’esecuzione, sia ai rimaneggiamenti che ne rendono quanto mai problematica la lettura. I motivi decorativi dei baldacchini e della trabeazione, in parte di gusto veneto, in parte di gusto lombardesco riconducono tuttavia decisamente all’ambiente friulano della fine del secolo XV o dell’inizio del XVI, come del resto evidenziano con chiarezza le statue che, come è stato da altri sottolineato, paiono opera di artisti diversi anche se operanti nell’ambito di un’unica bottega.Il gruppo centrale (Madonna con Bambino), di più alto livello qualitativo, è stato dal Rizzi assegnato, sia pur dubitativamente e “come ipotesi di lavoro”, per “il fare largo , essenziale, che annuncia i modi di Giovanni Martini, all’intagliatore Bartolomeo dall’Occhio di San Vito, la cui personalità non è stata peraltro ancora messa a fuoco per l’esiguità del numero di opere che gli vengono con certezza assegnate e per la disparità stilistica che intercorre tra loro. Conviene però pensare all’ambiente artistico, ancora in parte inesplorato, di cui Domenico da Tolmezzo è il maggior esponente. La Madonna si rifà, per quanto riguarda l’iconografia, a modelli quattrocenteschi messi in circolazione dai veneziani Antonio e Bartolomeo Vivarini e fatti propri - con altro spirito e in più robusti modi - da altri intagliatori veneti (ad esempio il veronese Giovanni Zabellana o Jacopo Moranzone) e, in Friuli, da Domenico da Tolmezzo prima, e poi da Giovanni Martini e Antonio Tironi, fino a Giacomo Martini, il quale li ripropone fin quasi alla metà del XVI secolo (si veda la Madonna con Bambino della parrocchiale di Resia, 1535, che puntualmente ripete l’iconografia di quella dell’altare di S. Tomaso). Il Santo diacono della Fondazione Crup è figura di belle proporzioni, giovanile nel sembiante, elegantemente vestita di tunica dorata. Per quanto lo riguarda, non si va oltre a generiche somiglianze con statue intagliate da Domenico, che non siano il modo di acconciare i capelli o di far scendere le pieghe della veste: ad esempio, con il S. Lorenzo dell’altare della pieve di S. Maria Maddalena di Invillino (1488) o il S. Leonardo dell’altare della chiesa di S. Floriano ad Illegio (1497). La particolare tipologia del volto, tondeggiante, costruito per piani larghicon occhi allungati e naso sottile, trova stringenti analogie con quella di un S. Floriano conservato nel Museo Carnico delle Arti e Tradizioni Popolari di Tolmezzo, proveniente da un’anconetta situata in via S. Francesco a Vendasio di Tricesimo, attribuita a scuola di Domenico da Tolmezzo e datata all’inizio del XVI secolo (P. Pastres, in Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone. Dieci anni 1992-2001. Nel segno dell’arte, a cura di G. Bergamini, Udine 2003, pp. 72-75).